La corrente crepuscolare,
sviluppatasi antecedentemente della Prima Guerra Mondiale, nasce dal vago
sentimento mistico del Pascoli, dal verbalismo decadente di D’Annunzio
e dai poeti simbolisti francesi e belgi come Rimbaud, Mallarmé e
Verlaine. Il movimento nasce come spontaneo incontro di giovani poeti esordienti
provenienti da Roma, Torino e la Romagna, stanchi dello sfarzo dannunziano:
la poesia italiana, sostiene Antonio Borgese, si è spenta in un
mite e lunghissimo crepuscolo. La violenza dei contrasti sociali e delle
guerre fa del poeta una coscienza inquieta, un «fanciullo che piange»
(Corazzini), un uomo dala desolata chiaroveggenza che «sorride e
guarda vivere se stesso» con auto-ironia (Gozzano), un «saltimbanco»
che porta la poesia fino a una parodia sofferta, dato che gli uomini non
chiedono più nulla ai poeti (Palazzeschi).
Dal punto di vista formale,
con i crepuscolari si abbatte definitivamente la barriera tra lingua della
poesia e lingua comune: il linguaggio usato è forse troppo semplice,
smorzato, volutamente dimesso, privo di figure retoriche e “simboli”; le
poesie sono spesso ridotte in discorsi indiretti con tono prosastico e
trattano di cose umili e banali.
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