METRO
6 quartine di novenari a
rima alternata ABAB.
PARAFRASI
I gelsomini notturni aprono
i loro fiori al calar della sera quando il poeta rivolge il pensiero ai
suoi morti.
Anche le farfalle del crepuscolo
iniziano il loro volo nelle ore della notte tra i viburni.
Da un po’ di tempo tutto
si è acquietato: insieme alla notte è calato il silenzio,
tranne che in una casa.
Nel nido i piccoli dormono
sotto le ali della madre, così come le ciglia umane ricoprono gli
occhi delle persone.
Dai calici aperti dei fiori
di gelsomino esala un profumo che fa pensare all’odore di fragole
rosse.
Mentre nella casa palpita
ancora la vita e una luce splende nella sala, l’erba cresce sulle fosse
dei morti.
Un’ape, che si è attardata
nel volo, trova tutte occupate le cellette del suo alveare.
La costellazione delle Pleiadi
risplende nel cielo azzurro (e il tremolio della sua luce richiama alla
mente l’immagine di una piccola chioccia circondata dai suoi pulcini, intenti
a pigolare).
Per tutta la notte esala
il profumo dei gelsomini che il vento porta via con sé.
La luce accesa nella casa
sale su per la scala, brilla al primo piano e si spegne. (E’ chiara l’allusione
agli sposi che si uniscono nell’oscurità).
Al sopraggiungere dell’alba si chiudono i petali e il fiore cova nell’interno del suo calice un non so che di segreto che dà una nuova felicità. (Il poeta allude al germogliare di una nuova vita nel grembo della sposa, ora madre).
ANALISI
La poesia “Gelsomino notturno”
fu composta da G. Pascoli, dopo lunga gestazione e tormentata vicenda di
varianti, per le nozze dell’amico Raffaele Briganti e vi è adombrato
il tema dell’unione dei due sposi e del conseguente germogliare di una
nuova vita.
La lirica venne pubblicata
in un opuscolo “per nozze” nel luglio 1901 e poi inclusa nei “Canti di
Castelvecchio” (1903).
La “E” iniziale rappresenta
la continuazione di un discorso già iniziato da Pascoli riguardante
il concepimento, tema principale della poesia. I gelsomini notturni, comunemente
chiamati “belle di notte”, si chiudono all’alba, per riaprirsi al tramonto,
nel momento in cui il pensiero corre ai propri cari defunti: anche l’Ulisse
di Dante, nel Purgatorio, ricorda i propri familiari alla sera, con la
differenza che in questa poesia, Pascoli si riferisce ai parenti defunti.
Le farfalle che appaiono in mezzo ai vigurni, o “palloni di neve”, perché
fiori bianchi di forma sferica, possono essere interpretate come farfalle
che volano al tramonto, o come gli stessi gelsomini notturni che, agitati
dal vento, assomigliano a farfalle.
Il tema della casa e del
nido, o del casolare come in altre poesie, ritorna in questa opera sotto
forma di rifugio chiuso e sicuro che si identifica con la famiglia d’origine
e che giustifica la paura del mondo esterno e la paura di formare una nuova
famiglia all’esterno di quella in cui si è nati. E’ per questo motivo
che più di altre poesie questa mette in evidenza l’incapacità
o la paure del poeta di rendersi autonomo sentimentalmente e di amare.
Il termina “la”, che viene ripetuto 16 volte nella poesia, evidenzia che
il poeta preferisce guardar gli altri amarsi, piuttosto che provare l’amore
e la passione sul suo corpo. In questo contesto, attraverso una metonimia,
la casa “bisbiglia”, intendendo con ciò il fatto che i suoi abitanti,
i due sposi, colloquiano prima di andare a dormire. Il profumo che esalano
i calici di gelsomino è sostituito da quello delle fragole rosse,
attraverso una metafora: anche gli uccelli che dormono sono sostituiti
con la parola “nidi”, e allo stesso modo le palpebre, al posto delle quali
viene usato il termine “ciglia”. La luce che splende nella sala si contrappone
all’ombra delle fosse, su cui però cresce l’erba: tale immagine
è simbolo del miracolo della vita che si perpetua e compenetra il
mistero della morte. Nell’immagine che segue, attraverso un’altra metafora,
l’ape tardiva emette il suo ronzio, quasi come se sussurrasse per non disturbare
i due sposi. Ancora con un’altra metafora il cielo è paragonato
all’aia ed è illuminato dalla “Chioccetta”, con cui si intende
la costellazione delle Pleiadi (sinestesia). Chiudono la poesia una
sineddoche, con cui gli sposi che portano il lume vengono ridotti al solo
oggetto che fa luce, e un’ultima metafora, con cui Pascoli, attraverso
“l’urna molle e segreta”, vuole intendere il calice del fiore o il grembo
della sposa, da adesso futura madre.
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