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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 1, 1 ^top
La
Gallia è divisa in tre parti, una delle quali è ospitata
dai Belgi, l'altra dagli Aquitani, la terza da quelli che nella loro stessa
lingua sono chiamati Celti, nella nostra Galli. Tutti costoro si differenziano
per lingua, istituzioni, leggi. Il fiume Garonna separa i Galli dagli Aquitani,
la Marna e la Sequana dai Belgi. I più forti tra tutti questi sonoi
Belgi perchè sono molto lontani dalla civiltà progredita
della provincia e poichè rarissimamente i mercanti si recano daloro
e importano quelle merci che tendono ad infiacchire gli animi e sono molto
simili ai Germani che abitano al di là del Reno contro i quali combattono
continuamente. Per questo motivo gli Elvezi superano in valore anche gli
altri Galli, perchè si scontrano con i Germani con battaglie quasi
quotidiane, quando o li tengono lontani dal territorio o essi stessi portano
la guerra nei loro paesi. Una parte di quei territori che è stato
detto che occupano i Galli inizia il fiume Rodano, è limitata dal
fiume Garonna, dall'oceano, dai territori dei Belgi, tocca anche il fiume
Reno dalla parte dei Sequiani e degli Elvezi, è rivolta a settentrione.
I Belgi si estendono dagli estremi confini della Gallia versola parte inferiore
del Reno, volgendosi verso settentrione e oriente. L'Aquitaniasi estende
dal fiume Garonna ai Pirenei ed a quella parte dell'oceano che è
vicina alla Spagna e guarda a nord-ovest.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 1, 4 ^top
Un
delatore rivelò l'accordo agli Elvezi. Secondo la loro abitudine,
essi costrinsero Orgetorige a discolparsi incatenato: se lo avessero condannato,
la pena comportava il rogo. Nel giorno stabilito per il processo, Orgetorige
fece venire da tutte le parti tutti i suoi familiari e servi, circa diecimila
persone, nonché tutti i suoi clienti e debitori, che erano assai
numerosi. Grazie ad essi riuscì a sottrarsi all'interrogatorio.
Mentre il popolo, arrabbiato per l'accaduto, cercava di far valere con
le armi il proprio diritto ed i magistrati radunavano dalle campagne una
grande moltitudine di uomini, Orgetorige morì. Secondo l'opinione
degli Elvezi, non mancò il sospetto che si fosse ucciso.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 1, 5 ^top
Dopo
la morte di Orgetorige, gli Elvezi cercano ugualmente di attuare il progetto
di abbandonare il loro territorio. Quando pensano di essere ormai pronti
per partire, incendiano tutte le loro città -una dozzina-, i loro
villaggi -circa quattrocento-, e le singole case private che ancora restavano;
danno fuoco a tutto il grano, a eccezione delle scorte che dovevano portare
con sé, per essere più pronti ad affrontare tutti i pericoli,
una volta privati della speranza di tornare in patria; ordinano che ciascuno
porti da casa farina per tre mesi. Persuadono i Rauraci, i Tulingi e i
Latobici, con i quali confinavano, a seguire la loro decisione, a incendiare
le città e i villaggi e a partire con loro. Accolgono e si aggregano
come alleati i Boi, che si erano stabiliti al di là del Reno, erano
passati nel Norico e avevano assediato Noreia.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 1, 6 ^top
Le
strade attraverso cui gli Elvezi potevano uscire dal loro territorio, erano
in tutto due: la prima, stretta e difficoltosa, attraversava i territori
dei Sequani tra il monte Giura ed il Rodano e permetteva a fatica il transito
di un carro alla volta; inoltre, il Giura incombeva su di essa a precipizio,
in modo che pochissimi erano sufficienti ad impedire facilmente il
passaggio; la seconda attraversava la nostra provincia ed era molto più
agevole e rapida, perché in mezzo ai territori degli Elvezi e degli
Allobrogi, da poco pacificati, scorre il Rodano, che in alcuni punti consente
(di fare) un guado. Ginevra è la città più settentrionale
degli Allobrogi e confina con i territori degli Elvezi, a cui è
collegata per mezzo di un ponte. Gli Elvezi, per garantirsi via libera,
pensavano di convincere gli Allobrogi, che non sembravano ancora ben disposti
verso i Romani, o di obbligarli con la forza. Ultimati i preparativi per
la partenza, stabiliscono la data in cui tutti avrebbero dovuto riunirsi
sulla riva del Rodano: cinque giorni prima delle calende di aprile, nell'anno
del consolato di Pisone e Gabinio.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 1, 7 ^top
Cesare,
appena informato che gli Elvezi si proponevano di attraversare la nostra
provincia, anticipa la sua partenza da Roma, si dirige, con la più
grande rapidità, a marce forzate verso la Gallia transalpina e arriva
a Ginevra. Ordina affinchè tutta la provincia fornisca il maggior
numero possibile di soldati (in Gallia transalpina c'era una sola ed unica
legione) e dispone di distruggere il ponte che si trovava nei pressi della
città. Gli Elvezi, sapendo del suo arrivo, gli inviano come ambasciatori
i cittadini più nobili, con a capo Nammeio e Veruclezio, incaricati
di dirgli che, siccome non esisteva altra strada, erano intenzionati ad
attraversare la provincia senza arrecare danni e gliene chiedevano il permesso.
Cesare, memore che gli Elvezi avevano ucciso il console Cassio e costretto
l'esercito romano, dopo averlo sconfitto, a subire l'onta del giogo, non
riteneva giusto concedere il permesso; inoltre, era convinto che questa
gente dall'animo ostile non si sarebbe astenuta da offese e danni, una
volta concessa la facoltà di attraversare la provincia. Tuttavia,
per guadagnare tempo fino all'arrivo dei soldati da lui richiesti, risponde
agli ambasciatori che si riservava qualche giorno di tempo per decidere:
se a loro andava bene, che ritornassero alle idi di aprile.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 1, 8 ^top
Nel
frattempo, impiegando la legione al suo seguito e i soldati giunti dalla
provincia, Cesare scava un fossato e costruisce un muro lungo diciannove
miglia e alto sedici piedi, dal lago Lemano, che finisce nel Rodano, fino
al monte Giura, che divide i territori dei Sequani dagli Elvezi. Completata
la costruzione, dispone dei presidi e costruisce delle ridotte per respingere
più facilmente gli Elvezi, se avessero tentato di passare suo malgrado.
Quando giunse il giorno fissato con gli ambasciatori ed essi ritornarono,
Cesare disse che, conforme alle tradizioni ed ai precedenti del popolo
romano, non poteva concedere a nessuno il transito attraverso la provincia
e si dichiarò pronto a impedire loro il passaggio nel caso cercassero
di forzare (far ricorso alla forza). Gli Elvezi, persa questa speranza,
cercarono di aprirsi un varco sia di giorno, sia più frequentemente
di notte, o per mezzo di barche legate insieme e di zattere, che avevano
costruito in gran quantità, o facendo un guado sul Rodano nei punti
in cui era meno profondo. Respinti dalle fortificazioni e dall'intervento
dei nostri soldati, rinunciarono ai loro tentativi.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 1, 9 ^top
Agli
Elvezi rimaneva solo la strada attraverso le terre dei Sequani; contro
il loro volere, però, non avrebbero potuto passare, perché
era troppo stretta. Da soli non sarebbero riusciti a convincere i Sequani,
perciò mandarono degli emissari all'eduo Dumnorige, per ottenere
via libera grazie al suo permesso. Dumnorige era molto potente presso i
Sequani per il favore di cui godeva e per le sue elargizioni, ed era amico
degli Elvezi perché aveva preso in moglie una elvetica, la figlia
di Orgetorige; inoltre, spinto dalla voglia di regnare, tendeva a delle
novità politiche e voleva, mediante i benefici resi, tenersi a sè
legati quanti più popoli possibile. Perciò assume l'incarico
e ottiene che i Sequani concedano agli Elvezi il permesso di transito e
che le due parti si scambino ostaggi: i Sequani per non ostacolare gli
Elvezi durante l'attraversamento del paese, gli Elvezi per attraversarlo
senza arrecare offese o danni.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 1, 15 ^top
Il
giorno dopo gli Elvezi tolgono le tende. Lo stesso fa Cesare e, per scoprire
dove si dirigevano, manda in avanscoperta tutta la cavalleria, di circaquattromila
unità, reclutata sia in tutta la provincia, sia tragli Edui ed i
loro alleati. Inseguita con eccessivo slancio la retroguardiadegli Elvezi,
i nostri si scontrano con la cavalleria nemica in un luogosfavorevole:
alcuni dei nostri cadono. Gli Elvezi, esaltati dal successo,poiché
avevano sbaragliato un numero di nemici così elevatocon cinquecento
cavalieri, incominciarono a fermarsi, di tanto in tanto,con maggiore audacia
ed (cominciarono) a provocare i nostri con la lororetroguardia. Cesare
tratteneva i suoi e si accontentava, per il momento,di impedire al nemico
furti, foraggiamenti e saccheggi. Proseguirono lamarcia per quindici giorni
circa, in modo che gli ultimi reparti (sott.:esercito) del nemico e i nostri
più avanti non fossero lontani piùdi cinque o sei miglia.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Galico 1, 23 ^top
L'indomani,
considerando che mancavano solo due giorni alla distribuzione di grano
e che Bibracte, la città degli Edui più grande e ricca in
assoluto, non distava più di diciotto miglia, Cesare pensò
di dover provvedere ai rifornimenti. Smette di seguire gli Elvezi e si
affretta verso Bibracte. Alcuni schiavi, fuggiti alla cavalleria gallica
del decurione L. Emilio, riferiscono al nemico la questione. Gli Elvezi,
o perché pensavano che i Romani si allontanassero per paura, tanto
che il giorno precedente non avevano attaccato pur occupando le alture,
o perché contavano di poter impedire ai nostri l'approvvigionamento
di grano, modificarono i loro piani, invertirono il verso di marcia e incominciarono
a inseguire ed a provocare la nostra retroguardia.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 1, 24 ^top
Quando
si accorse di ciò, Cesare ritirò le sue truppe sul colle
più vicino e mandò la cavalleria a fronteggiare l'attacco
nemico. Nel frattempo, alla metà del colle dispose, su tre linee,quattro
legioni di veterani, mentre in cima sistemò le due legioni
che aveva appena arruolate nella Gallia cisalpina e tutti gli aiuti, riempiendo
tutto il monte di uomini. Intanto ordinò che le salmerie venissero
raggruppate in un solo posto e che le truppe schierate più in alto
lo difendessero. Gli Elvezi, che venivano dietro con tutti i loro carri,
raccolsero in un unico posto gli oggetti, si schierarono in formazione
estremamente serrata, respinsero la nostra cavalleria, formarono la falange
e avanzarono contro la nostra prima linea.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 1, 37 ^top
Nello
stesso momento in cui veniva riferita a Cesare la risposta di Ariovisto,
da parte degli Edui e dei Treveri giungevano emissari. Gli Edui si lamentavano
del fatto che gli Arudi, trasferitisi da poco in Gallia, rovinavano il
loro territorio: neppure la consegna degli ostaggi era stata utile al fine
di ottenere la pace da Ariovisto. I Treveri, invece, dicevano che cento
tribù degli Svevi si erano stabilite lungo le rive del Reno e che
tentavano di attraversarlo; li guidavano i fratelli Nasua e Cimberio. Cesare,
fortemente scosso dalle notizie, pensò di dover accorciare i tempi
al fine di evitare di incontrare ulteriore resistenza, se il nuovo gruppo
degli Svevi si fosse aggiunto alle precedenti truppe di Ariovisto. Perciò,
fatta(=raccolta) il prima possibile una provvista di grano, mosse contro
Ariovisto forzando le tappe.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
Bello Gallico 2, 2 ^top
Le
notizie e la lettera di Labieno spinsero Cesare ad arruolare due nuove
legioni nella Gallia cisalpina, ed il legato Q. Pedio, all'inizio dell'estate,
ricevette l'ordine di condurle in Gallia transalpina. Lo stesso Cesare
raggiunse l'esercito non appena cominciò ad esservi abbastanza foraggio.
Ai Senoni ed agli altri Galli che confinano con i Belgi diede l'ordine
di informarsi e di comunicare lui che cosa stessero preparando i Belgi.Tutti,
d'accordo, gli riferirono che erano in corso dei reclutamenti e che le
truppe venivano riunite in un solo posto. Solo allora Cesare ritenne che
non bisognava esitare a muovere contro di loro. Preparate le scorte di
grano, leva le tende ed in quindici giorni circa giunge nel territorio
dei Belgi.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
Bello Gallico 2, 16 ^top
Cesare,dopo
tre giorni di marcia nella regione dei Nervi, veniva a sapere dai prigionieri
che il fiume Sambre non era distante dal suo accampamento più di
dieci miglia: oltre il fiume si erano sistemati tutti i Nervi e aspettavano
l'arrivo dei Romani insieme agli Atrebati ed ai Viromandui, che confinavano
con loro (infatti li avevano persuasi a tentare la stessa sorte in guerra);
aspettavano anche le truppe degli Atuatuci, che erano in marcia; le donne
e chi, per motivi di età, non poteva essere impegnato nella guerra,
erano stati raggruppati in un luogo reso inaccessibile ad un esercito dalle
paludi.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 2, 18 ^top
La
naturale conformazione fisica del territorio, scelto dai nostri per l'accampamento,
era questa: un colle, che scendeva gradatamente in modo uniforme, andava
fino alla Sambre, fiume di cui abbiamo già accennato. Sulla riva
opposta, proprio di fronte, c'era un altro colle che aveva la stessa identica
pendenza: in basso, per una distanza di circa duecento passi, era senza
vegetazione, mentre sulla cima aveva fitti boschi, impenetrabili a vederli.
Qui si nascondevano i nemici; lungo il fiume, nella zona senza vegetazione,
si vedevano poche squadre di cavalleria. La profondità del fiume
era circa di tre piedi.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 2, 22 ^top
L'esercito
fu schierato secondo non tanto gli schemi della tecnica militare, ma secondo
la conformazione naturale del luogo, il pendio del colle e le circostanze.
Le legioni, operando separate, opponevano resistenza ai nemici in zone
diverse. Come si è detto in precedenza, c'erano fittissime siepi
poste in mezzo e impedivano la visuale. Non era possibile predisporre adeguati
contingenti di riserva e provvedere alle necessità di ogni settore,
era esclusa l'unità di comando. Perciò, in tanta diversità
di condizioni, era inevitabile che la fortuna giocasse sul campo di battaglia
ruoli diversi.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 2, 34 ^top
Nello
stesso momento P. Crasso, che era stato mandato insieme ad una legione
nelle terre dei Veneti, degli Unelli, degli Osismi, dei Coriosoliti, degli
Esuvi, degli Aulerci e dei Redoni, popoli del mare che si affacciano sull'Oceano,
informò Cesare di aver sottomesso tutti quanti all'autorità
ed al dominio di Roma.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 3, 7 ^top
Dopo
questi avvenimenti, Cesare aveva tutti i motivi di ritenere la Gallia sottomessa:
erano stati battuti i Belgi, scacciati i Germani, sconfitti i Seduni sulle
Alpi. Così, all'inizio dell'inverno, partì per l'Illirico,
perché voleva conoscerne i popoli e visitarne le regioni, ma improvvisamente
in Gallia scoppiò una guerra. Eccone il motivo: il giovane Crasso
stava svernando con la settima legione nei pressi dell'Oceano, nella regione
degli Andi. Visto che nella zona il frumento scarseggiava, Crasso mandò
molti prefetti e tribuni militari presso i popoli limitrofi per procurarsi
grano e viveri. Tra di essi Terrasidio fu inviato presso gli Esuvi, Trebio
Gallo presso i Coriosoliti, Velanio con Sillio presso i Veneti.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 3, 10 ^top
Abbiamo evidenziato le difficoltà
che la guerra presentava, ma le ragioni che spingevano Cesare allo scontro
erano molte: i cavalieri romani trattenuti contro ogni diritto; la rivolta
dopo la resa; la defezione a ostaggi consegnati; la coalizione di tante
nazioni e, soprattutto il timore che gli altri popoli ritenessero lecito,
se egli non fosse intervenuto, agire come i Veneti. A Cesare era assai
chiaro che, per lo più, i Galli amano i rivolgimenti e sono facilmente
e prontamente disposti a combattere; del resto, la natura spinge tutti
gli uomini ad amare la libertà ed ad odiare la condizione di servitù.
Perciò, prima che la cospirazione si estendesse ad altri popoli,
ritenne opportuno dividere l'esercito per coprire una zona più ampia
del territorio.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 3, 11 ^top
Così
manda il legato Labieno con la cavalleria verso la regione dei Treveri,
che abitano lungo il Reno; gli ordina sia di prendere contatto con i Remi
e gli altri Belgi e di tenerli a dovere, sia di ostacolare i Germani (si
diceva che i Belgi avessero chiesto il loro aiuto), se, con la forza, avessero
tentato di attraversare il fiume su delle navi. Ordina a Crasso di partire
per l'Aquitania al comando di dodici coorti della legione e di un buon numero
di cavalieri, per evitare che i popoli aquitani inviassero aiuti ai Galli
e che nazioni tanto potenti si unissero. Manda il legato Titurio Sabino
al comando di tre legioni nelle terre degli Unelli, dei Coriosoliti e dei
Lexovi con l'ordine di tenerli occupati. Al giovane Bruto affida il comando
della flotta gallica e delle navi che, dietro suo ordine, erano state fornite
dai Pictoni, dai Santoni e dalle altre regioni pacificate. Gli ingiunge
di partire alla volta dei Veneti non appena possibile. Cesare vi si dirige
con la fanteria.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 3, 15 ^top
Una
volta abbattuti, come abbiamo descritto, i pennoni, ciascuna nave nemica
veniva circondata da due o tre delle nostre ed i soldati romani si lanciavano
all'abbordaggio con grande impeto. Quando i barbari se ne accorsero, molte
delle loro navi erano già state catturate; non trovando alcun sistema
di difesa contro la tattica romana, cercavano di salvarsi fuggendo. Avevano
già indirizzato le navi nella direzione in cui soffiava il vento,
quando si verificò un'improvvisa, totale bonaccia, che impedì
loro di allontanarsi. La cosa fu del tutto favorevole per finire le operazioni:
i nostri inseguirono le navi nemiche e le catturarono una ad una; ben poche
di quante erano riuscirono a distanziarsi grazie al sopraggiungere della
notte. Si era combattuto dalle dieci circa del mattino fino al tramonto.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 3, 16 ^top
La
battaglia segnò la fine della guerra con i Veneti e i popoli di
tutta la costa. Infatti, tutti i giovani e anche tutti gli anziani più
assennati e autorevoli si erano radunati là e avevano raggruppato
in un solo posto ogni nave disponibile. Persa la flotta, i superstiti non
sapevano in quale luogo rifugiarsi, né come difendere le loro città.Perciò
si arresero con tutti i loro averi a Cesare ed egli decise di agire con
più rigore nei loro confronti, affinchè i barbari imparassero,
per il futuro, a osservare con maggior scrupolo il diritto che tutela gli
ambasciatori. Così ordinò di condannare a morte tutti i senatori
e di vendere gli altri come schiavi.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 3, 25 ^top
I
nostri, in parte riempiendo i fossati, in parte lanciando un nugolo di
frecce, costrinsero i difensori ad abbandonare il vallo e le fortificazioni.
Anche gli ausiliari, sul cui apporto Crasso non faceva troppo affidamento,
rifornendo i soldati di pietre e di frecce e portando zolle per elevare
un terrapieno, davano l'effettiva impressione di combattere. Ma anche il
nemico lottava con tenacia e coraggio ed i dardi, scagliati dall'alto,
non andavano a vuoto. A quel punto i cavalieri, che avevano fatto il giro
del campo nemico, riferirono a Crasso che la porta decumana non era altrettanto
ben difesa ed era facile penetrarvi.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 3, 27 ^top
L'eco
della battaglia spinse la maggior parte dei popoli dell'Aquitania ad arrendersi
ed a consegnare spontaneamente ostaggi a Crasso. Tra di essi ricordiamo
i Tarbelli, i Bigerrioni, i Ptiani, i Vocati, i Tarusati, gli Elusati,
i Gati, gli Ausci, i Garunni, i Sibuzati e i Cocosati. Poche genti e le
più lontane, confidando nella stagione (l'inverno si stava avvicinando)
trascurarono di farlo.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 4, 1 ^top
L'inverno
dopo, durante l'anno di consolato di Pompeo e Crasso, gli Usipeti ed anche
i Tenteri, popoli germanici, oltrepassarono il Reno con un gran numero
di uomini, (in un punto) non lontano dal mare in cui il fiume sfocia. La
ragione della loro migrazione era che, tormentati per molti anni dagli
attacchi degli Svevi, si trovavano in difficoltà e non potevano
coltivare i loro campi. Gli Svevi, tra tutti i Germani, sono il popolo
più numeroso ed agguerrito in assoluto. Si dice che siano formati
da cento tribù: ognuna fornisce ogni anno mille soldati che vengono
portati a combattere fuori dai loro territori contro le popolazioni limitrofe.
Chi è rimasto a casa, provvede a mantenere sé e gli altri;
l'anno dopo si scambiano le funzioni: questi ultimi vanno a combattere,
i primi rimangono in patria. Così non tralasciano né l'agricoltura,
né la teoria e la pratica delle armi. E non hanno terreni privati
o suddivisi, nessuno può rimanere più di un anno nello stesso
luogo per praticare l'agricoltura. Si nutrono poco col frumento, vivono
soprattutto di latte e carne ovina, praticano molto la caccia. Il tipo
di alimentazione, l'esercizio quotidiano e la vita libera che conducono
-fin da piccoli, infatti, non sono sottoposti ad alcun dovere o disciplina
e non fanno assolutamente nulla contro la propria volontà- accrescono
le loro forze e li rendono uomini dal fisico imponente. Sono abituati a
lavarsi nei fiumi e a portare come vestito, in quelle regioni freddissime,
solo delle pelli che, per le loro dimensioni ridotte, lasciano scoperta
gran parte del corpo.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 4, 2 ^top
Concedono
libero accesso ai mercanti, più che per desiderio di comprare prodotti
d'importazione, per far sì di vendere il loro bottino di guerra.
Anzi, i Germani non fanno uso di cavalli importati (diversamente dai Galli,
che per essi hanno una vera passione e li comprano a caro prezzo), ma sfruttano
i cavalli della loro regione, piccoli e sgraziati, rendendoli robustissimi
animali da fatica con l'esercizio quotidiano. Durante gli scontri di cavalleria
spesso scendono da cavallo e combattono a piedi; hanno addestrato a rimanere
sul posto i cavalli, presso i quali, se necessario, si riparano rapidamente;
secondo il loro punto di vista, non c'è nulla di più vergognoso
o inerte che usare la sella. Così, per quanto pochi siano, osano
attaccare qualsiasi gruppo di cavalieri che montino su sella, non importa
quanto numeroso. Non permettono assolutamente l'importazione del vino,
perché ritengono che indebolisca la capacità di sopportare
la fatica e che infiacchisca gli animi.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 4, 3 ^top
Reputano
vanto principale per la propria nazione che le regioni limitrofe, per il
tratto più grande possibile, siano disabitate: è segno che
moltissimi popoli non sono in grado di resistere alla loro forza militare.
A tale proposito corre la voce che, in una zona di confine degli Svevi,
le campagne siano spopolate per 600 miglia. Un'altra parte del loro territorio
confina con gli Ubi, un popolo che una volta era numeroso e fiorente, per
quanto possano esserlo i Germani. Gli Ubi sono un po' più civili
rispetto alle altre genti della loro razza perché, vivendo lungo
il Reno, sono visitati di frequente dai mercanti e, per ragioni di vicinanza,
hanno inglobato i costumi dei Galli. Gli Svevi li avevano spesso affrontati
in guerra, ma non erano riusciti a scacciarli dalle loro terre per via
del loro numero e della loro importanza; tuttavia, li avevano costretti
a versare tributi, rendendoli molto meno potenti e forti.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 4, 4 ^top
Nella
stessa situazione si trovarono gli Usipeti e i Tenteri, già nominati,
che ressero per parecchi anni agli assalti degli Svevi, ma alla fine vennero
scacciati dai loro territori e, dopo aver vagato tre anni per molte regioni
della Germania, giunsero al Reno, nel paese dei Menapi che possedevano
campi, case e villaggi su entrambe le rive del fiume; i Menapi, atterriti
dall'arrivo di una massa così numerosa, abbandonarono gli edifici
sull'altra sponda del fiume e, disposti presidi al di qua del Reno, cercavano
di impedire il passaggio ai Germani. Quest'ultimi, dopo tentativi d'ogni
sorta, non potendo combattere perché a corto di navi, né
riuscendo a passare di nascosto per la sorveglianza dei Menapi, finsero
di rientrare in patria, ma dopo tre giorni di cammino tornarono indietro:
in una sola notte la cavalleria coprì tutto il tragitto e piombò
inattesa sugli ignari Menapi, che erano rientrati nei loro villaggi d'oltre
Reno senza timore, perché i loro esploratori avevano confermato
la partenza dei nemici. I Germani fecero strage dei Menapi e, impadronitisi
delle loro navi, attraversarono il fiume prima che sull'altra sponda giungesse
notizia dell'accaduto; occupati tutti gli edifici dei Menapi, si servirono
delle loro provviste per la restante parte dell'inverno.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 4, 5 ^top
Informato
di tali avvenimenti, Cesare, che temeva la debolezza di carattere dei Galli,
volubili nel prendere decisioni e per lo più desiderosi di rivolgimenti,
stimò di non doversi assolutamente fidare di essi. I Galli, infatti,
hanno la seguente abitudine: costringono, anche loro malgrado, i viandanti
a fermarsi e si informano su ciò che ciascuno di essi ha saputo
o sentito su qualsiasi argomento; nelle città, la gente attornia
i mercanti e li obbliga a dire da dove provengano e che cosa lì
abbiano saputo; poi, sulla scorta delle voci e delle notizie udite, spesso
decidono su questioni della massima importanza e devono ben presto pentirsene,
perché prestano fede a dicerie infondate, in quanto la maggior parte
degli interpellati risponde cose non vere pur di compiacerli.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 4, 6 ^top
Cesare,
che conosceva tale abitudine, per non andare incontro a una guerra troppo
pesante, partì alla volta dell'esercito prima del solito. Appena
giunto, apprese che i suoi sospetti si erano avverati: parecchi popoli
avevano inviato ambascerie ai Germani, chiedendo che varcassero il Reno
e promettendo di esaudire ogni loro richiesta. I Germani, attratti da tali
speranze, già si stavano spingendo più lontano ed erano pervenuti
nelle terre degli Eburoni e dei Condrusi, clienti dei Treveri. Cesare convocò
i principi della Gallia, ma ritenne opportuno dissimulare ciò di
cui era invece al corrente; li blandì, li rassicurò, chiese
i contingenti di cavalleria e prese la risoluzione di muovere guerra ai
Germani.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 4, 7 ^top
Preparate
le scorte di grano e arruolati i cavalieri, marciò verso i territori
in cui era segnalata la presenza dei Germani. Cesare si trovava a pochi
giorni di distanza, quando gli si presentarono emissari dei Germani che
parlarono nei termini seguenti: non erano i Germani a muovere per primi
guerra al popolo romano, ma non avrebbero rinunciato allo scontro, se provocati,
perché avevano la consuetudine, tramandata dai padri, di difendersi
e di non implorare gli aggressori, chiunque essi fossero. Tuttavia precisavano
di esser giunti contro il loro volere, scacciati dalla patria; se i Romani
volevano il loro sostegno, i Germani avrebbero potuto diventare utili alleati;
chiedevano l'assegnazione di nuovi territori oppure il permesso di mantenere
le regioni occupate con le armi. Erano inferiori solo agli Svevi, che neppure
gli dèi immortali potevano uguagliare; ma di tutti gli altri popoli
sulla terra non ce n'era uno che i Germani non potessero superare.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 4, 8 ^top
A
tali parole Cesare rispose come gli sembrò più opportuno;
ma ecco come terminò il suo discorso: non poteva stringere con loro
alcuna alleanza, se rimanevano in Gallia; e non era giusto che occupasse
le terre altrui chi non era riuscito a difendere le proprie; in Gallia
non c'erano regioni libere da poter assegnare - tanto meno a un gruppo
così numeroso - senza danneggiare nessuno, ma concedeva loro, se
lo volevano, di stabilirsi nei territori degli Ubi, che gli avevano inviato
emissari per lamentarsi dei soprusi degli Svevi e per chiedergli aiuto:
ne avrebbe dato ordine agli Ubi.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 4, 9 ^top
I
membri dell'ambasceria dissero che avrebbero riferito e che si sarebbero
ripresentati dopo tre giorni con la risposta. Chiesero a Cesare, però,
di non avanzare ulteriormente nel frattempo. Cesare dichiarò di
non poter concedere neppure questo. Era venuto a conoscenza, infatti, che
i Germani, alcuni giorni prima, avevano inviato gran parte della cavalleria
al di là della Mosa, nella regione degli Ambivariti, a scopo di
razzia e in cerca di grano. Riteneva, dunque, che stessero aspettando i
loro cavalieri e che, a tal fine, cercassero di prendere tempo.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 4, 10 ^top
La
Mosa nasce dai monti Vosgi, nella regione dei Lingoni; a non più
di ottanta miglia di distanza dall'Oceano, finisce nel Reno. Il Reno nasce
nella regione dei Leponzi, un popolo delle Alpi, scorre impetuoso per un
lungo tratto nelle terre dei Nantuati, degli Elvezi, dei Sequani, dei Mediomatrici,
dei Triboci e dei Treveri; poi, nei pressi dell'Oceano, si divide in diversi
rami e forma molte isole di notevoli dimensioni, per la maggior parte abitate
da genti incolte e barbare, alcune delle quali si pensa vivano di pesci
e di uova d'uccelli. Sfocia con molte diramazioni nell'Oceano.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 4, 11 (possibili errori nella 1° e ultima frase) ^top
Cesare
non era distante più di dodici miglia dal nemico, quando i membri
dell'ambasceria ritornarono, secondo gli accordi. Gli si presentarono mentre
era in marcia e lo pregavano, invano, di non procedere ulteriormente. Gli
chiedevano, allora, di dar ordine alla cavalleria, posta all'avanguardia,
di non aprire le ostilità e gli domandavano il permesso di inviare
un'ambasceria agli Ubi: se i capi e il senato degli Ubi avessero fornito
garanzie mediante un giuramento solenne, si dichiaravano pronti ad accettare
le condizioni proposte da Cesare. Ma, per portare a termine le operazioni
necessarie, chiedevano tre giorni di tempo. Cesare riteneva che la richiesta
mirasse sempre a consentire, nei tre giorni di tregua, il rientro dei cavalieri
che si erano allontanati; tuttavia, disse che per quel giorno si sarebbe
spinto in avanti non oltre quattro miglia, al solo fine di rifornirsi d'acqua,
ma comandò che l'indomani si presentassero lì nel maggior
numero possibile per conoscere la sua risposta. Al tempo stesso, ai prefetti
della cavalleria, che precedeva l'esercito, manda dei messi ai nemici con
l'ordine di non provocare battaglia e di difendersi, in caso di attacco,
fino al suo arrivo con le legioni.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 4, 12 ^top
Ma
i nemici, non appena videro la nostra cavalleria - benché contasse
circa cinquemila unità, mentre essi non erano più di ottocento,
non essendo ancora rientrati i cavalieri che avevano varcato la Mosa in
cerca di grano - si lanciarono all'attacco e scompaginarono in breve tempo
i nostri, che non nutrivano alcun timore, in quanto l'ambasceria dei Germani
aveva appena lasciato Cesare chiedendo, per quel giorno, tregua. Quando
i nostri riuscirono a opporre resistenza, gli avversari, secondo la loro
tecnica abituale, balzarono a terra e, ferendo al ventre i cavalli, disarcionarono
molti dei nostri e costrinsero alla fuga i superstiti, premendoli e terrorizzandoli
al punto che non cessarono la ritirata se non quando furono in vista del
nostro esercito in marcia. Nello scontro perdono la vita settantaquattro
nostri cavalieri, tra cui l'aquitano Pisone, uomo di grandissimo valore
e di alto lignaggio: un suo avo aveva tenuto la suprema autorità
tra la sua gente e ricevuto dal senato di Roma il titolo di amico. Pisone,
accorso in aiuto del fratello circondato dai nemici, era riuscito a liberarlo;
disarcionato - il suo cavallo era stato colpito - resistette con estremo
valore finché ebbe forza: poi, circondato da molti avversari, cadde.
Il fratello, che aveva già lasciato la mischia, lo vide da lontano:
sferzato il cavallo, si gettò sui nemici e rimase ucciso.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 4, 13 ^top
Dopo
tale scontro, Cesare ormai non stimava giusto ascoltare gli ambasciatori
o accogliere le proposte di un popolo che, dopo aver chiesto pace, aveva
deliberatamente aperto le ostilità con agguati e imboscate; d'altro
canto, considerava pura follia aspettare che il numero dei nemici aumentasse
con il rientro della cavalleria e, ben conoscendo la volubilità
dei Galli, intuiva quanto prestigio i Germani avessero già acquisito
con una sola battaglia; perciò, riteneva di non dover assolutamente
concedere loro il tempo di prendere decisioni. Aveva già assunto
tali risoluzioni e informato i legati e il questore che non intendeva differire
l'attacco neppure di un giorno, quando si presentò un'occasione
veramente favorevole: proprio la mattina seguente i Germani, sempre con
la stessa perfida ipocrisia, si presentarono al campo di Cesare, in gran
numero, con tutti i principi e i più anziani. Volevano, a detta
loro, sia chiedere perdono per l'attacco sferrato il giorno precedente
contro gli accordi e le loro stesse richieste, sia ottenere, se possibile,
una dilazione: ma il solo scopo era di tendere una trappola. Cesare, lieto
che gli si fossero offerti, ordinò di trattenerli, portò
fuori dall'accampamento tutte le sue truppe e ordinò alla cavalleria
di chiudere lo schieramento, ritenendola ancora scossa per la recente sconfitta.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 4, 14 ^top
Disposto
l'esercito su tre file, percorse velocemente otto miglia e giunse al campo
nemico prima che i Germani potessero rendersi conto di cosa stava accadendo.
I nemici, spaventati per vari motivi,
(e qui spiega quali sono questi
motivi) dall'arrivo improvviso dei nostri, dall'assenza dei loro, dal
non avere il tempo di prendere alcuna decisione, né di correre alle
armi, erano incerti se conveniva affrontare i Romani, difendere l'accampamento
o darsi alla fuga. I rumori e la confusione davano il segno del timore
che regnava tra i nemici; i nostri, irritati dal proditorio attacco del
giorno precedente, fecero irruzione nel campo avversario. Qui, chi riuscì
ad armarsi in fretta, per un po' oppose resistenza, combattendo tra i carri
e le salmerie; gli altri, invece, ossia le donne e i bambini -avevano infatti
abbandonato le loro terre e attraversato il Reno con le famiglie- si diedero
a una fuga disordinata. Cesare inviò la cavalleria ad inseguirli.
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Versioni di latino tradotte - Cesare
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De
bello Gallico 4, 15 ^top
I
Germani, uditi i clamori alle spalle, quando videro che i loro venivano
massacrati, gettarono le armi, abbandonarono le insegne e corsero via dall'accampamento.
Giunti alla confluenza della Mosa con il Reno, dove non avevano più
speranze di fuga, molti furono uccisi, gli altri si gettarono nel fiume
e qui, sconfitti dalla paura, dalla stanchezza, dalla forte corrente, morirono.
I nostri, tutti salvi dal primo all'ultimo, con pochissimi feriti, rientrarono
al campo dopo le apprensioni avute a causa di uno scontro così rischioso,
considerando che il nemico era compèosto da quattrocentotrentamila
persone. Cesare permise ai Germani prigionieri nell'accampamento di allontanarsi,
ma costoro, temendo atroci supplizi da parte dei Galli di cui avevano saccheggiato
i campi, dissero di voler rimanere presso di lui; Cesare concesse loro
la libertà.