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Annibale
e la colonna d'oro ^top
Dicono
che Annibale, volendo portar via una colonna d'oro che era nel tempio di
Giunone Lucinia, e dubitando se fosse massiccia o ricoperta d'oro, la perforò
e la trovò massiccia.
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Disperata
situazione dei campani(possibili errori) ^top
Gli
ambasciatori, entrati nel senato, esposero questo parere: "Il popolo campano
inviò a voi, o senatori, noi ambasciatori, cercando di ricevere
da voi aiuto ed amicizia. Non abbiamo rincrescimento per ciò che
il fato ci obbliga a dire: è venuto ciò affinchè nella
forza fossimo o amici o nemici. Ciò non ci sfugge: se ci difenderete,
saremo dalla vostra parte; se non ci difenderete saremo dalla parte dei
Sanniti. I Sanniti vennero da noi per assalirci non perchè si lamentavano
dell'ingiuria accettata, ma perchè gioivano che fosse offerto loro
un pretesto".
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Doti
di Epaminonda ^top
Prima
di esprimere l'immagine delle abitudini della vita di Epaminonda, diremo
prima della sua stirpe, con quali discipline sia stato istruito, in seguito
sui costumi e sulle facoltà dell'ingegno, infine, se qualche altra
cosa degna di memoria era meritevole a proposito delle imprese. Era modesto,
prudente, autorevole, usava sapientemente i mezzi alle occasioni opportune,
esperto in guerre, di mani forti, con un animo fortissimo, coscienzioso
nella ricerca del vero al punto di non dire falsità neppure per
scherzo. Fu anche tanto chiaro che nessun tebano era stato come lui per
eloquenza, e fornito non meno felice nelle brevi risposte che in un discorso
continuato. Ebbe come suo calunniatore e avversario nell'amministrare lo
stato il tebano Meneclide esercitato a sufficienza nel parlare. Egli, poichè
vedeva che Epaminonda si distingueva nell'arte militare, era solito esortare
i tebani affinchè anteponessero la pace alla guerra e affinchè
non fosse richiesta l'opera di quel generale. Gli disse: "Inganni con le
parole i tuoi cittadini poichè li distogli dalla guerra infatti
riunisci in nome della pace la servitù. Infatti la pace è
preparata con la guerra. Pertanto quelli che vogliono i frutti duraturi
della pace devono essere esercitati alla guerra. Per cui se volete essere
i signori della Grecia dovete usare gli accampamenti, non la
palestra."
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Giugurta ^top
Giugurta, quando fu giovane, potente di forza prestante e di bell'aspetto, ma
ragguardevole per intelligenza, non si lasciò corrompere dai piaceri dell'ozio, ma,
secondo gli usi di quella gente, cavalcò, lanciò dardi, gareggiò nella corsa coi
coetanei e, superando tutti nella gloria, fu tuttavia caro a tutti: in seguito e per
più volte si esercitò nel cacciare, ferì leoni e altri animali, più cose faceva, tanto
meno di se parlava. Dapprima Micipsa era stato lieto di tutto questo, pensando che il
valore di Giugurta sarebbe stato di gloria al suo regno; tuttavia, vedendo aumentare
sempre più il prestigio di quel giovane, mentre lui eta già anziano ed i suoi figli
piccoli, cominciò a preoccuparsi seriamente di tale fatto, pensando mille cose. Lo
spaventava la natura umana, avida di potere e pronta a soddisfare le proprie passioni,
e inoltre l'opportunità della sua età e di quella dei suoi figli, adatta a traviare.
Lo atterriva, infine, il forte affetto dei Numidi per Giugurta, che gli faceva temere
l'insorgere di una rivolta o di una guerra civile, se avesse ucciso con l'inganno un
tale uomo.
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La
vera felicità ^top
Solone,
di gran lunga il più sapiente di tutti i Greci, essendo una volta
arrivato a Sardi, stette nell’alloggio del re Creso. Nella reggia di questo
potè vedere quanto grandi fossero le ricchezze, quanto lo splendore,
e la manificenza della reggia di quello. Dopo aver visto tutto questo,
fuori di là Creso chiese se mai avesse visto un uomo più
beato. Desiderava infatti sapere cosa pensasse Solone della sua vita. Allora
il filosofo: “Vidi più beato di te l’ateniese Tello”. Il re fu preso
da grande stupore, non sapendo chi fosse quel Tello, del quale il sapiente
elogiava la tanta beatitudine. Disse: “Cosa sono perciò queste,
di cui parli, ospite? Cosa mai possiede questo Tello affinchè
tu dica lui così beato?” Allora Solone rise, avendo sentito tutte
queste cose, e rispose: “Non intendevo questa beatitudine che tu dici.
Tello fu più beato di te, perché fu beato fino alla sua morte
(fine della sua vita). Infatti giunse alla fine della vita senza gravi
disgrazie”.
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Serenità
davanti alla morte ^top
Canio Giunio,
grande uomo tra i più insigni, avendo discusso a lungo con Caio Caligola, dopo ciò
quello disse: "Affinchè (tu) non ti lusinghi per caso con un'inetta speranza, ho
ordinato che tu sia condotto a morte", "Grazie" disse "eseguo nel modo migliore capo".
Non so che cosa volesse dire. Qualsiasi cosa è (sia), rispose con grande animo. Niente
infatti aveva potuto sperare, poiché era noto di quale perseveranza fosse Caligola
in certi comandi. Canio giocava a dama. Mentre un centurione, per trascinarlo verso
la colonna dei dannati, ordinava a quello anche di alzarsi, chiamato, contò le pedine
al suo compagno "Vedi" disse "affinché dopo la mia morte tu non menta dicendo di
aver vinto". Erano tristi tali amici che avrebbero perso quell'uomo. "Per cosa siete
tristi?" disse "Voi vi chiedete se gli animi sono immortali, io lo saprò presto".
E non smise neanche nella stessa fine della vita di cercare la verità e avere dalla
sua morte la risposta. Chiedendo all'amico che cosa pensava allora o quale intelligenza
avesse, "Proposi" disse "di osservare se in quel momento velocissimo l'animo sentirà
che esso esce dal corpo". E Promise, se avesse osservato qualcosa, che avrebbe indicato
agli amici quale fosse lo stato delle anime.
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Un
esempio di magnanimità ^top
Troveremo
un notevole esempio di magnanimità nei suoi libri, che Cesare scrisse
a proposito della guerra Gallica nei quali narra quelle imprese che egli
stesso fece contro i Galli ed i Germani. Nell’accampamento romano c’erano
due uomini fortissimi e assai bramosi di gloria, uno dei quali si chiamava
Voreno, l’altro Pullone. Questi solevano spesso avere controversie tra
di loro e impegnarsi per la gloria. Quando un giorno assediarono l’accampamento
dei romani, Pullone, per provocare gli avversari, gridò così
davanti ad ogni compagno d’armi: “Adesso, o Voreno, si proceda contro i
nostri nemici entrambi, affinchè sia evidente chi di noi due è
superiore in virtù”. Dopo aver detto ciò, procedette lui
stesso per primo contro i nemici, l’altro non rimase nell’accampamento
dentro il vallo, poiché temeva il giudizio dei compagni d’arma e
del suo condottiero. Avendo invece Pullone scagliato la sua spada contro
il nemico trafisse il suo petto con quel colpo. Allora in verità
tutti i Galli assalirono lui stesso e trafissero il suo scudo con i giavellotti.
Il misero era in grande pericolo e non poteva sperare in alcun aiuto di
qualsiasi uomo; ma Voreno subitò lasciò da parte le antiche
controversie e strappò Pullone dalla morte sicura e riportò
lui stesso incolume nell’accampamento.
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Un
poeta che non vuole adulare ^top
A
Dioniso, tiranno dei Siracusani, interessava moltissimo cosa gli uomini
dotti ed i familiari pensassero circa se stesso e le sue opere. Era
infatti assai appassionato della lode poetica e spesso recitava le sue
poesie, durante i banchetti, ai convitati, abilissimi adulatori. Tra questi
vi era filoseno, uomo di grande intelligenza, il solo che, incapace della
finzione, svelò liberamente che cosa pensasse avendo una volta ascoltato
le poesie di nessun pregio, recitate da Dioniso. Offeso da questa franchezza
delle parole, il tiranno ordinò che il critico delle sue poesie
fosse catturato dai suoi sgherri e che fosse gettato nelle latomie, che
erano il carcere pubblico. Il giorno dopo tuttavia egli si pentì
della sua collera e, esortato dagli amici, invitò nuovamente Filoseno
a pranzo, dove, recitando le sue poesie, circa alcuni versi, che egli stimava
moltissimo, chiese il parere a Filoseno. Quello, non abituato all'adulazione
e incurante del pericolo si alzò dalla mensa e, non pronunciata
alcuna parola, se ne andò. Interrogato in quale luogo si dirigesse,
rispose: "nelle latomie".