VERSIONI DI LATINO
Tito Livio


 Ab Urbe condita xxi,5-9
 Annibale si avvicina alle Alpi
 Buona politica è non incrudelire sui vinti (incompleta)
 Calamità e superstizioni a Roma
 Disperata situazione dei campani
 Eumene vittima di un attentato
 Esortazione ai soldati
 La morte di Cicerone
 Tragica traversata di una palude
 Umanità di Lucio Emilio Paolo verso il vinto Perseo

Versioni di latino tradotte - Tito Livio

Ab Urbe condita xxi,5-9 ^top
(Annibale) Nessuna fatica poteva sopraffare il corpo o l'animo. Sopportava sia il caldo che il freddo; la misura del cibo e del bere era determinata non dal piacere ma dalla natura. I tempi della sveglia e del sonno non erano determinati dall'ora sia di giorno che di notte: ciò che rimaneva nel fare le cose si dedicava al riposo. Si riposava senza un materasso morbido e silenzio. Spesso giaceva per terra coperto da un mantello tra le sentinelle di guardia. Non era vestito in maniera diversa da i suoi compagni; erano invece apprezzati le armi ed i cavalli. Era di gran lunga il primo dei cavalieri e dei fanti; entrava per primo in battaglia, si allontanava per ultimo finita la battaglia. Però grandissimi difetti eguagliavano queste grandi virtù: crudeltà inumana, una perfidia più grande dei Cartaginesi, non c'era nulla  per lui che fosse considerato vero, non c'era nulla di sacro, non c'era nessun giuramento, nessuno scrupolo religioso, nessun timore degli dei.

Versioni di latino tradotte - Tito Livio

Annibale si avvicina alla Alpi ^top
Annibale, giunto alla riva opposta del Rodano, si diresse verso la Gallia mediterranea, non perchè la strada per le Alpi fosse più semplice, ma perchè pensava che quanto più si sarebbe allontanato dal mare, tanto meno si sarebbe fatto incontro ai romani. Infatti, prima che fosse giunto in Italia, non aveva intenzione di combattere con quelli. Nel quarto giorno, dopo che aveva spostato gli accampamenti, arrivò nell'isola: là i fiumi Arar e Rodano, scorrendo separati giù dalle Alpi, circondati alquanto i campi confluiscono in uno solo: da quel luogo è derivato il nome per metà dei campi di quell'isola. Gli Allobrogi, popolazione per nulla inferiore a quella gallica per fama o potenza, abitano vicino. Da lì il fiume sfocia nel Druenza. Quello è il passaggio di gran lunga più difficile di ogni corso d'acqua alpino: infatti quando la poderosa forza dell'acqua trasporta, sebbene non sia navigabile perchè non contenuto da alcun argine, fluisca tra moltissime cavità, crei in continuazione nuovi vortici e nuovi guadi, massi e ghiaia, non presenta alcuna cosa stabile o sicura da passare quando tracima. Inoltre, poi, accresciuto dalle piogge impediva molto l'avanzare.
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Buona politica è non incrudelire sui vinti (incompleta) ^top
Camillo riferì al senato circa i popoli latini e così disse: "Senatori, ciò che dovette essere fatto con la guerra e con le armi, questo già si è realizzato per la benevolenza degli dei ed i valori dei soldati. Gli eserciti dei nemici furono distrutti nei pressi di Pedo e Astura; tutte le sittà latine ed Anzio tra le città dei Volsci, o prese con la forza o accolte in resa, sono tenute dai vostri presidi. Rimane una decisione, poichè ribellandosi piuttosto spesso ci sollecitano, in modo che otteniamo con una pace perpetua che essi (siano) calmi. [...]
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Calamità e superstizioni a Roma (incompleta e con possibili errori) ^top
Per i consoli Aulo Cornelio Casso e Tito Quinto Penno ci fu moltissima difficoltà per la siccità: gli dei in nessun modo fecero piovere ma la terra, anche mancando d'acqua, per un po' a fatica bagnò i campi. Altrove, mancate le acque intorno alle fonti inaridite ed ai fiumi, fece strage di pecore, che morivano per la sete. Le rimanenti si ammalarono di scabbia e le malattie diffuse per contatto tra gli uomini si riversarono sui contadini. In seguito la città si riempì di abitanti che fuggivano dalla campagna. I corpi non erano stati affetti in nessun modo dal morbo contagioso, ma il diffuso terrore superstizioso invase gli animi. Infatti quelli ai quali a causa della superstizione [..?..] introducevano nuovi riti di sacrificio nelle case. Infine quella vergogna pubblica raggiunse le civiltà più illustri che cercavano ovunque e sempre le vendette insolite ed estranee agli dei. Poi venne dato agli edili il compito di vigilare, affinchè nessuno tra gli dei, se non romani, nè con altri costumi fossero celebrati dalla patria.
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Disperata situazione dei campani ^top
Gli ambasciatori, entrati nel senato, esposero questo parere: "Il popolo campano mandò a voi, o senatori, noi ambasciatori, per chiedere a voi amicizia e aiuto. Non proviamo rincrescimento per ciò che il fato ci obbliga a dire: è venuta con esso che fossimo nella forza o amici o nemici. Ciò non ci sfugge: se ci difenderete, saremo dei vostri; se ci abbandonerete saremo dei Sanniti. I Sanniti vennero da noi per assalirci non perchè si lamentavano dell'ingiuria accettata, ma perchè gioivano che fosse offerto loro il pretesto.
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Esortazione ai soldati ^top
Soldati, io vorrei che voi combattiate non solo con quell'animo con cui siete soliti farlo contro gli altri nemici, ma con tale sdegno e furore, come se improvvisamente vedeste i vostri schiavi fare guerra contro di voi. Sarebbe stato giusto far morire di fame quelli, chiusi presso Erice, sarebbe stato lecito trasportare la flotta vincitrice in Africa e distruggere Cartagine in pochi giorni senza nessuna battaglia: graziammo quelli che (ci) imploravano, li lasciammo sfuggire dall'assedio, facemmo pace con i vinti, quando l'Africa era incalzata dalla guerra. Seguendo un giovane pazzo, in cambio di questi favori,  sono venuti per attaccare la nostra patria. E volesse il cielo che questa lotta fosse soltanto per il vostro onore e non per la vostra salvezza; voi dovete combattere non per l'occupazione della Sicilia e della Sardegna, per le quali un tempo ci si era mossi, ma a difesa dell'Italia. E dietro non c'è un altro esercito che, se noi non vinciamo, si opporrà al nemico, né ci sono altre Alpi che i nemici debbano superare.  Bisogna opporsi Qui, o soldati, come se combattessimo davanti alle cinta di Roma. Ognuno pensi a proteggere con le armi non il proprio corpo, ma la moglie ed i figli piccoli e non si preoccupi solo delle faccende domestiche, ma consideri con l'animo che le nostre mani siano ora rivolte al senato ed al popolo romano.
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Eumene vittima di un attentato ^top
Risultava abbastanza evidente che il re Eumene, per offrire un sacrificio ad Apollo, sarebbe salito a Delfi. Gli insidiatori, venuti avanti, cercavano l'occasione per circondare tutto il luogo. Mentre si saliva al tempio, prima che si giungesse agli affollamenti nei luoghi con gli edifici, c'era una barriera dalla parte sinistra del passaggio, un po' sporgente alla base, per la quale uno per volta transitavano; la parte destra, a causa di un cedimento della terra ad una certa altezza, era stata distrutta. I sicari macedoni si nascosero dietro la barriera, affinchè da quella, come da un muro, scagliassero i dardi a chi passava. Quando arrivò in quel luogo, per il quale si passava uno alla volta, entrò per primo nel sentiero Pantaleone, principe dell'Etolia, con il quale il re in quel momento parlava. Allora gli insidiatori, insorti buttarono giù due enormi pietre delle quali uno colpì la testa del re, l'altra tramortì la spalla. Accumulati molti sassi dal passaggio pendente sopra il orente, le sentinelle e gli alleati, dopo che videro quello che accadeva, scapparono velocemente. Pantaleone, costantemente impavido, rimase per proteggere il re. Gli assassini, sebbene potessero correre per il breve perimetro della barriera per ammazzare il ferito, come compiuto dal re, si rifugiarono sulla cima del Parnaso, e lasciarono lì il corpo del re tramortito.
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La morte di Cicerone ^top
Con l'avvicnarsi dei triumviri Ciceronesi si era allontanato dalla città, ritenendo per certo, come era veramente, di non potersi sottrarre ad Antonio più che a Bruto e Cassio a Cesare. In un primo momento si rifugiò nella villa di Tuscolo; da lì per vie traverse partì per quella di Formia con l'intenzione di imbarcarsi a Gaeta; e di qui spintosi più volte al largo, sia perchè i venti contrari l'avevano riportato in direzione della costa sia perchè non riusciva a sopportare il rollio della nave provocato dall'incerto volgersi delle onde, lo prese alla fine lo sconforto della fuga e della vita e fatto ritorno alla villa di prima, che è lontana dal mare poco più di un miglio, esclamò " che (io) muoia nella patria che tante volte ho salvato!". E' abbastanza sicuro che i suoi schiavi fossero disposti a combattere in sua difesa con energia e fedeltà; ma egli gli ordinò di mettere in terra la lettiga e di subire rassegnati ciò che l'ingiusto destino imponeva: sporgendosi dalla lettiga e offrendo immobile la sua nuca, gli fu recisa la testa. E questo non fu sufficiente alla insensata crudeltà dei soldati; le mani furono tagliate accusandolo di avere scritto contro Antonio. Così la sua testa fu portata ad Antonio e per suo ordine posta in mezzo alle due mani sui rostri, dove lui console e spesso consolare, dove quello stesso anno contro Antonio era stato ascoltato con tale ammirazione per la sua eloquenza, quale mai era spettata ad una voce di un uomo. Stentando nel sollevare gli occhi per le lacrime la gente poteva guardare le membra mozzate di tale cittadino.
Versioni di latino tradotte - Tito Livio

Tragica traversata di una palude
Annibale pur potendo seguire un altro percorso, più comodo ma più lungo, prese la strada più breve attraverso le paludi, proprio nella zona in cui in quei giorni il fiume Arno era straripato più del solito. Per primi seguirono i segni delle guide, attraversarono le voragini profondissime e a precipizio, anche se venivano quasi risucchiati dal fango. Invece i Galli, quando scivolavano, non erano in grado di reggersi o di tirarsi fuori dalle buche. Inoltre non facevano nulla per dare una sferzata di coraggio al proprio corpo o per sostenere il morale con un po' di speranza: alcuni di loro trascinavano stancamente le membra, altri, se anche una volta cadevano vinti dallo scoramento, si lasciavano morire tra le bestie morte e quelle giacenti. E le veglie sopportate ormai per quattro giorni e per tre notti li affaticarono tutti. L'acqua era dappertutto: non si poteva trovare un solo posto dove distendere i corpi stanchi all'asciutto e allora i bagagli venivano ammonticchiati nell'acqua e gli uomini vi si buttavano sopra. Annibale, malato al primo occhio era trasportato da un elefante per stare più in alto dell'acqua. Infine il comandante si ammalò dall'altro occhio per le veglie piene di umidità notturna.
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Umanità di Lucio Emilio Paolo verso il vinto Perseo (incompleta e con possibili errori) ^top
Coperto con un mantello nero, Perseo entrò negli accampamenti con il figlio e nessun altro dei compagni. Non poteva avanzare a causa di una moltitudine che accorreva ad uno spettacolo, fin quando furono mandati dal console delle guardie, affinchè, allontanata la folla, facessero spazio fino alla tenda del generale. Il console si alzò, comandò agli altri di sedersi, e avanzata un po' forse la mano destra al re che stava entrando e sottomettendosi ai piedi non permise [..?..], introdotto nel tabernacolo, ordinò di sedere in consiglio di fronte agli avvocati. La prima domanda, che sollevò un'ingiuria, fu di aver suscitato una guerra contro il popolo romano dall'animo talmente ostile da spingere sè ed il suo regno ad un'ultima decisione. [..?..] il console, al contrario: "Se tu avessi preso il resto del regno, per quanto mi riguarda mi sarei meravigliato meno che tu non capissi che il popolo romano fosse un nemico tanto grave, ebbene , in verità, avresti partecipato alla guerra di tuo padre che [..?..] con noi, e dopo che con somma fiducia, ci esercitammo contro di lui, ti saresti ricordato della pace, poichè si deliberò che tra quelli tu avresti esercitato sia la forza in battaglia che la speranza nella pace, preferendo che la guerra fosse con te e la pace con quelli?" Non rispondendo nè l'accusato nè l'interrogato, chiese: "Comunque, tuttavia, queste cose, o per errore umano, o per caso, accaddero, [..?..] la nota clemenza del popolo romano non ti offre in nessun modo la speranza per le difficoltà dei molti re e popoli, ma per poco una certa fiducia di salvezza.


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